Come le case e le industrie, anche i ristoranti producono acque di scarico. Considerato che negli ultimi anni si sente spesso parlare di impianti di gestione e depurazione delle acque di scarico per andare incontro all’ambiente e ai suoi bisogni, i ristoranti hanno dovuto uniformarsi a queste necessità.

 

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La sempre più alta esigenza di impiegare le risorse idriche e l’aumento dei rifiuti sul nostro pianeta ha sensibilizzato la società sull’argomento del riutilizzo, inducendo così alla nascita e alla realizzazione di impianti capace di depurare l’acqua così da poterla poi da rimetterla in circolo e riutilizzarla.

Con questa guida cercheremo di capire come vengono o quantomeno come dovrebbero essere trattate le acque reflue dei ristoranti.

 

La composizione delle acque di scarico dei ristoranti

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Le acque reflue nei ristoranti sono sia quelle di scarico del bagno che quelle di scarico della cucina. Di solito vanno a confluire nelle fogne o nelle condotte separate, a seconda della tipologia, così facendo si evita che i rifiuti solidi finiscano all’interno del degrassatore (parte del depuratore usato per scremare l’acqua proveniente dallo scarico della cucina), provocando cattivi odori.

Il trattamento degli scarichi idrici provenienti dai ristoranti segue uno schema ben preciso. Per quanto concerne le acque reflue attinenti ai servizi igienici, esse vengono incanalate in condotte che portano direttamente agli impianti di trattamento primario, o meglio in una fossa settica.

Qui vengono accumulati i fanghi sedimentati. Per quanto attiene invece alle acque provenienti dalla scarico di cucina esse finiscono in una conca grande per essere degrassate.

 

 

Fossa Imhoff vs degrassatore

Dunque la prima differenza tra i due tipi di acque sta nel primo passaggio di depurazione: le acque delle condotte fecali vengono trattate nella fossa Imhoff, mentre quelle provenienti dalla cucina vengono trattate nel degrassatore:

 

  • La fossa settica

Anche detta fossa settica particolare, la fossa Imhoff si occupa di sedimentare tutti i fanghi raccolti dalle acque di scarico igienico. Rispetto alla classica fossa settica per la depurazione di acque reflue domestiche, quella usata per i ristoranti è dotata di un comparto di sedimentazione separato da quello di digestione per cui l’acqua decantata in uscita è priva dei gas presenti nel fango e generati in fase di fermentazione anossica;

 

  • Il degrassatore

Nel degrassatore vengono invece sottoposte a primo trattamento le acque provenienti dalla cucina. La primaria depurazione ivi effettuata ha lo scopo di abolire una prima parte di batteri che si sono annidati nel filtro biologico: a tale scopo si adotta un separatore di grassi progettato e realizzato secondo le norme UNI EN 1825-1 e UNI EN 1825-2 (se vuoi puoi approfondire l'argomento filtro autopulente acqua).

Le dimensioni del degrassatore possono essere differenti a seconda dell’intensità di utilizzo della cucina e di quanti pasti si preparano nel ristorante ogni giorno.

 

 

La fitodepurazione

Sia per le acque reflue igieniche che per quelle della cucina, il successivo step di trattamento è dato dalla fitodepurazione.

L’acqua già sottoposta ad un prima scrematura viene condotta verso un impianto a flusso sommerso orizzontale, in genere realizzato in un incavorealizzato nel terreno. Al suo interno si va a depositare sulla superficie tutto l’insieme di materiali inerti creando così un condotto di supporto idoneo alla crescita di piante idrofite.

L’impianto di fitodepurazione ha una bocca di accesso confermata il cui scopo è la distribuzione uniforme dell’acqua e del collettore di fondo, per la raccolta del refluo fitodepurato.

È proprio il collettore ad immettere all’interno di un pozzetto equipaggiato con un regolatore di livello nel letto a monte (livello che non deve mai superare I 10 cm dalla superficie libera del letto) con la condotta di scarico dell’acqua al corpo recettore terminale.

 

 

Cosa dice la legge?

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Da un punto di vista normativo, vengono ovviamente imposti dei requisiti e dei limiti ben precisi. La norma in questione da cui si trae ispirazione è il decreto legge n. 152/2006 ("scarichi delle acque reflue industriali in corsi d’acqua superficiali e sul suolo").

Secondo tale norma è d’obbligo se un impianto di fitodepurazione al fine di operare un trattamento di finitura in grado di effettuare la giusta applicazione dei parametri di inquinamento entro i suddetti limiti di emissione.

Così facendo si possono realizzare depuratori a basso costo, ma ad alta potenzialità. Allo stesso tempo deve avere un funzionamento affidabile, che eviti la generazione di esalazioni sgradevoli e la proliferazione di insetti nel letto filtrante.

L’impianto di depurazione per le acque reflue dei ristoranti deve essere di piccole dimensioni, ma realizzato minuziosamente, con dei filtri capaci di ampliare le funzioni di depurazione e ossigenazione dell’acqua in caso di esondazioni.

Sempre stando alle norme attualmente vigenti, l’impianto di depurazione deve avere elevate prestazioni, con qualità maggiore rispetto ai modelli tradizionali in quanto bisogna trattare l’acqua eliminandola anche dei più impercettibili corpi recettori (previo rispetto dei limiti di emissione, attualmente molto restrittivi).

 

 

Non solo gli impianti realizzati sono economici, ma richiedono anche bassi costi di gestione, in quanto non essendoci la fase secondaria di produzione e sintetizzazione del fango si richiede minore sforzo, ma maggiore efficienza. I soli oneri di smaltimento dunque sono quelli che derivano dallo spurgo del fango sedimentato nella fossa Imhoff e dei grassi accumulati nel degrassatore.

Ad ogni modo, ogni regione ha dei parametri differenti in termini di realizzazione e funzionalità. Ogni direttiva valida nelle regioni tende a far assimilare o a dividere le acque reflue dei ristoranti da quelle provenienti dalle case, in virtù del principio di equivalenza “qualitativa” (valido se la consistenza dello scarico dell’attività è inferiore a 100 AE).

Ad esempio nella regione Umbria, sono stabiliti alcuni limiti per i quali la depurazione delle acque deve comportare quanto meno una riduzione fra entrata e uscita del 50 % della concentrazione dei solidi sospesi e del 30 % dei valori di BOD5 e COD. Tali limiti non sono presenti in altere normative regionali.