Etichette alimentari, la guida

 

Una spesa consapevole significa prestare attenzione all'etichetta dei prodotti che stiamo acquistando. Il claim che ci attrae in una confezione o i nomi accattivanti possono essere solamente uno specchietto per le allodole. Ma se è facile vendere un libro dalla sua copertina, diventa più complicato nascondere quello che c'è dentro ad un prodotto se si legge, con consapevolezza, l'etichetta.

 

 

Cos'è l'etichetta?

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A seguito dell'entrata in vigore, nel 2014, della normativa europea sull'etichetta, con il  Regolamento (UE) 1169/2011, l'etichetta è diventata ancora più trasparente. Per etichetta si intende l'elenco degli ingredienti, in ordine decrescente (quindi da quello che si trova in maggiore quantità all'interno del prodotto fino all'ingrediente utilizzato in minor misura).

Il produttore è tenuto a scrivere nell'etichetta solamente il minimo indispensabile per individuare l'ingrediente usato, questo significa che, dove noi troviamo una maggiore specificazione, il prodotto sarà di qualità migliore (ad esempio c'è differenza fra indicare genericamente olio d'oliva o olio extravergine d'oliva).

Inoltre, il solo ordine degli ingredienti è di per sé un allarme sulla qualità del prodotto che stiamo acquistando: sarà di qualità migliore un prodotto in cui la presenza di materie prime naturali e semplici è maggiore a grassi idrogenati, alimenti in polvere o di derivati da procedimenti chimici di produzione.

Andiamo con ordine e leggiamo l'etichetta, passo a passo.

 

 

Gli zuccheri

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Risale a poco più di una ventina d'anni l'interesse a livello mediatico e popolare per gli zuccheri. Prima che l'attenzione si spostasse su questo nuovo soggetto l'interesse, o meglio, il dito puntato, era rivolto ai grassi, considerati il colpevole, unico ed originario dell'aumento dell'obesità mondiale e delle patologie ad essa correlate.

Gli studi della scienza alimentare si sono però concentrati, fin dagli anni '80 e '90, sugli zuccheri, e lentamente si è iniziato ad osservarli sotto una nuova ottica.

Lo zucchero è presente in tutti i prodotti confezionati: aumenta la capacità di conservazione, aiuta la lievitazione nei lievitati, da un buon sapore e da dipendenza. Tutti elementi che un produttore vuole per il proprio prodotto. Il vero problema dello zucchero nei prodotti confezionati è il costo: lo zucchero di canna è un prodotto costoso.

Allora fin dagli anni '80 ha iniziato a prendere piede lo sciroppo di glucosio-fruttosio, prodotto chimicamente, per idrolisi, dal mais. Il produttore, nell'etichetta, non usa la sigla “HFCS”, propria di questo zucchero, ma la dicitura “sciroppo di glucosio fruttosio”.

Sentite? Suona molto meno allarmante, il fruttosio in fondo, viene direttamente dalla frutta, no? Cosa può esserci di male nel fruttosio?

C'è che questa molecola non forma un unicum con il glucosio, come avviene nello zucchero o con le fibre, come nella frutta, ma, essendo prodotta chimicamente, è già scissa, ed ovviamente questo significa una diversa reazione del nostro corpo durante la digestione. Il fruttosio (il 55% dello sciroppo glucosio fruttosio) infatti, ingerito in questa forma già sintetizzata, diventa immediatamente una fonte di grasso, HFCS non stimola la produzione di insulina e di leptina, regolatori del metabolismo e le conseguenze non sono solamente  quelle di ingrassare ma anche quelle di uno squilibrio ormonale.

Inoltre, senza insulina e leptina la nostra percezione della sazietà è viziata, e mangiamo più di quanto il nostro corpo non ci richieda. Non è forse perfetto per un produttore?

Peccato solo che il consumo di prodotti contenenti lo sciroppo di glucosio fruttosio abbia portato ad una crescita di patologie come quella del fegato grasso e della cirrosi epatica non alcolica che si manifestano anche in bambini. Perché, ovviamente, proprio i prodotti che sono più allettanti per i bambini sono quelli che fanno maggiore uso di questo prodotto.

 

I grassi

Anche per i grassi vale la regola che abbiamo visto per gli zuccheri: minore è l'intervento chimico e maggiore sarà la qualità del grasso. Per questo olio d'oliva, burro e perfino strutto, sono comunque qualitativamente migliori rispetto a grassi vegetali idrogenati.

Questi ultimi sono da scartare non solo per il processo chimico di produzione, ma anche perché gli oli posti a base per la loro lavorazione sono spesso di pessima qualità e particolarmente grassi – come l'olio di palma, olio fra i più grassi e ricchi di trigliceridi in natura – ma anche perché al loro interno possono comunque contrnere grassi animali di sintesi.

L'aggettivo “vegetale” inoltre viene spesso usato, anche a sproposito, per infondere al consumatore l'idea che il prodotto che sta acquistando abbia particolari doti di naturalità, ma basta richiamare il già citato olio di palma per sottolinare come vegetale non sia sinonimo di leggero o di buona qualità.

 

 

Gli additivi alimentari

Gli additivi sono spesso segnalati con sigle alfanumeriche che hanno già solo per questo un aspetto ben poco genuino. Si tratta comunque di elementi che servono per la conservazione del prodotto imbustato, perché non si deteriorino entro una certa data – la data di scadenza – le proprietà organolettiche del prodotto (gusto, odore, sapore, colore).

È impossibile evitarli, è però possibile limitarli. Basta fare attenzione. Una sovrapresenza di correttori di acidità o di conservanti non sono indice di una buona qualità del prodotto.

 

Gli aromi alimentari, gli aromi naturali e sitentici

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Gli aromi alimentari sono una componente imprescindibile di tutti i prodotti imbustati, ma anche sugli aromi è necessario fare le dovute distinzioni.

La prima è fra gli aromi sintetici, prodotti sinteticamente senza passare da un prodotto organico, e gli aromi naturali, che invece sono derivati direttamente dalle materie prime vegetali o animali (per ulteriori informazioni, si rinvia al sito della New Flavour). In etichetta gli aromi artificiali vengono menzionati semplicemente come generici aromi, una dicitura che di per sé non fa sorgere nessun campanello d'allarme nel consumatore. Per quanto riguarda gli aromi naturali si sottolinea come sia diversa la dicitura aroma naturale di... poniamo ad esempio, fragola in uno yogurt alla fragola, rispetto ad un generico aroma naturale.

La differenza sta che solo quando l'aroma proveniente dallo stesso prodotto è presente in quantità superiore al 95% è possibile indicare aroma naturale di... mentre per ogni mix di più aromi la dicitura è più generica.

Evitare gli aromi non è possibile, ma è possibile scegliere quelli che hanno una maggiore naturalità nei procedimenti produttivi. Gli aromi sintetici, a differenza di quelli naturali, hanno la caratteristica di aumentare la sapidità oltre il gusto naturale (per tornare al nostro esempio, come se stessimo mangiando uno yogurt con delle fragole estremamente gustose, troppo gustose) a volte inventando dal nulla un sapore al di là della nostra conoscenza, ma che solletica particolarmente il nostro gusto e le nostre sinapsi, spingendoci a mangiare oltre la sazietà e modificando alla lunga la nostra percezione dei sapori, spingendo oltre la nostra soglia del salato e del dolce, con tutte le conseguenza che ne derivano.

 

 

Fare attenzione all'etichetta, ma non solo

Leggere l'etichetta è tutto questo ma anche altro. Per questo si rimanda al sito ministeriale e al decalogo per un acquisto consapevole. Una regola che viene inserita al punto due di questo vademecum, ci sembra perfetta anche per la chiusura dell'argomenta trattato in questo articolo: in ogni acquisto ricordiamo sempre che l'immagine non ha scopo dimostrativo e che il prodotto può essere difforme – e meno sano – da quello che il marketing potrebbe indurci a pensare.